Ore 16,30. Una bambina esce da scuola, la mamma la aspetta al fondo del cortile. La testolina spunta insieme alle altre teste, cappelli, zaini colorati. La bimba corre incontro alla mamma e le dice: "oggi ho preso dieci in matematica!" E la mamma felicissima: "brava! Mi rendi fiera di te! Lo diciamo subito a papà!" La mamma sorride, la bimba sorride.

Tutto bene quindi... o no?

In realtà se ci fermiamo qui, in questa scena, in questo frame, non possiamo saperlo. Che cos'è quel 'dieci'?

Un numero, una valutazione, la migliore. Ma cosa ci dice del compito di sviluppo affrontato da quella bambina? Provo a spiegarvelo con alcuni esempi.
Primo scenario: la bambina ha faticato a comprendere a fondo quell'argomento di matematica, ha preso sette alla verifica precedente, non era contenta. La maestra la ha aiutata, lei si è impegnata ed esercitata a casa, la nuova verifica era un po' difficile ma si è concentrata, ha fatto tutto giusto ed ha preso dieci. Brava! La gioia della mamma corrisponde alla gioia della bambina, alla sua soddisfazione. È bello ottenere un risultato sudato, sentire di meritarselo. 
Secondo scenario: il compito era un po' sottostimato per le capacità della bambina, lo ha fatto velocemente e lo ha un po' buttato lì, sinceramente non si è molto impegnata. È già la terza volta che prende dieci di matematica, anzi, prende sempre, dieci. Brava! (Ma per cosa? Per non essersi impegnata? Per non essersi cimentata? In sintesi: PER NON AVER APPRESO?) La gioia della mamma non corrisponde a una reale soddisfazione interna della bambina.

Questo perché se un compito viene svolto velocemente e senza alcun errore, o siamo nel caso uno e quindi è il frutto di un percorso, oppure presumibilmente è il segno che stiamo facendo qualcosa che GIÀ' SAPEVAMO FARE. Una torta fatta già molte altre volte. Perfetta. Un percorso già noto, nel quale so addirittura quando scatta il semaforo successivo. Lineare. Zero errori.
Se, viceversa, stiamo affrontando una SFIDA OTTIMALE, facilmente qualche errore ci sarà. Svolto dalla parte sbagliata e mi trovo un senso vietato. Metto troppo poco lievito, la torta è passabile, ma un po' dura. Ogni sbaglio è prezioso, equivale a un tentativo in meno che dovrò fare verso la soddisfazione. Iniziate a capire?

Fa tremare i polsi, lo so. Ed ho appena cominciato. 
Con una serie ripetuta di interazioni simili, a scuola e a casa, sapete cosa può accadere? Che quella bambina si può mettere in testa che le cose che ti fanno essere 'brava', intelligente, apprezzata, sono l'assenza di sforzo e la perfezione. Tecnicamente, i due nemici della motivazione e dell'apprendimento a lungo termine.
Può quindi disperdere la sua naturale curiosità e il suo desiderio di sapere, concentrandosi sulla performance, sul risultato da esibire. 
Perchè lo fa? Ve lo racconto con una storia.

S. ha 9 anni. La mamma va a colloquio con la maestra, che le dice che è molto brava a scuola, in generale, e in particolare è bravissima a scrivere. Le mostra il suo ultimo tema e le dice che lo ha portato in giro per tutte le classi, a farlo leggere alle colleghe, perché è il tema meglio scritto che abbia visto nella sua lunga carriera di maestra. 

È molto orgogliosa. La mamma anche. Torna a casa e loda tantissimo S.
Peccato che proprio in quei giorni, a scuola, la maestra avesse iniziato in aritmetica a proporre i 'problemi' (S. ha benissimo chiaro il perché si chiamino PROBLEMI). 
S. non li capisce proprio... (o è la maestra che non li sa spiegare?) Prende quattro. QUATTRO! Si vergogna troppo per tornare a casa con quel voto, quindi prende la colla Pritt e incolla la pagina del brutto voto unendola con la pagina successiva del quaderno, ancora vergine, intonsa. 
Purtroppo però il voto successivo è un altro cinque, e poi un altro ancora (non ha proprio capito come si fanno, questi dannati problemi). 
Quintali di Pritt, le pagine incollate una dietro l'altra creano una specie di intercapedine di cartoncino all'interno del quaderno. La cartellina della vergogna. La mamma se ne accorge. "Che cos'è questo?".
Seduta, con calma, inizia a scollare le pagine... la colla Pritt si stacca in un attimo (ma è normale questa cosa? Bisogna lamentarsi coi produttori!), vengono fuori uno dopo l'altro i voti scritti con la penna rossa. La mamma allibisce. Lo dice al papà. 
S. viene punita perché è una bugiarda, oltre che pigra (due caratteristiche che non le appartengono e mai le apparterranno).

Di Onderwijsgek at nl.wikipedia, CC BY-SA 3.0 nl, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15778058

Ma perché S. ha incollato le pagine?
"Perché la mamma quel giorno che la maestra le aveva parlato ERA COSI' FELICE e io ho preso il brutto voto proprio il giorno dopo!" 
La mamma era felice. FELICE, capito, mica cosa da poco.
Voto alto uguale mamma felice, orgogliosa, che ti vuole bene.Equazione semplice.
Mica si può deludere così una mamma, e farle accorgere di non essere brava come tutti credono!

Questa interazione pone i presupposti per far sviluppare in un bambino la cosiddetta mentalità fissa (*fixed mindset - Carol Dweck). Le persone con mentalità fissa sono più preoccupate di come saranno giudicate dagli altri piuttosto che di migliorare; se possono scegliere fra un compito difficile e uno facile scelgono quello facile (che li rende più confidenti nel buon risultato ma di fatto non fa imparare loro nulla di nuovo). 
Cercano la validazione piuttosto che sfidare sé stessi e i propri limiti. 
Le prove da affrontare non sono un godimento (oh! E' difficile! Ecco il pane per i miei denti!), ma un'ansia. Se sbagliano, non considerano l'errore come parte normale del processo, cartina di tornasole del fatto che stanno imparando, nonché prezioso indicatore di cosa c'è da correggere, ma lo considerano segno che non sono poi così intelligenti. 
Soffrono della sindrome dell'impostore, come S. nel racconto sopracitato vivono nell'ansia che qualcuno scopra che sbagliano anche loro (come tutti!). L' errore spaventa. Spaventa così tanto che spesso incolpano di esso qualcun altro. La verifica era sbagliata. avevano la febbre, mal di pancia, il compagno li ha distratti, la maestra non aveva detto che erano quelle le pagine da studiare. 

Conoscete qualcuno con questa mentalità? 
Sapete che spesso il fixed mindset danneggia proprio i bambini più intelligenti? Infatti sono loro che più spesso si trovano ad essere lodati per la mancanza di sforzo, e che interiorizzano che doversi impegnare o sbagliare è qualcosa di riservato ai "poco svegli". 
Sapete che molti plusdotati abbandonano la scuola nel corso delle superiori?

Il successo è imparare o dimostrare?
Una prova difficile è divertente o terrorizzante?

La risposta a ciò dipende in gran parte dai feedback che noi adulti diamo ai nostri bambini o alunni.
C'è una potentissima motivazione interna che tutti abbiamo, che è la cosiddetta "curiosità epistemica", ovvero NOI VOGLIAMO SAPERE. 
Siamo impiccioni per natura. Vogliamo sapere per avere il controllo della realtà, per creare connessioni, per avere più possibilità, ma anche solo perché siamo fatti così, ci chiediamo il perché delle cose a partire dai tre anni (lo sanno bene le mamme che hanno bimbi in quella fascia di età!).

Un buon insegnante, un buon adulto, imposta l'apprendimento a un livello di sfida ottimale (un po' più difficile di ciò che già so fare, non così difficile da scoraggiarmi). Gli pone compiti raggiungibili ma che siano 'pane per i suoi denti', gli lascia dei gradi di libertà nelle scelte (la libertà è un presupposto irrinunciabile per il mantenimento dell'interesse), coltiva il PIACERE DI APPRENDERE (insomma aiuta il bambino ad infognarsi nelle cose), stimola la soddisfazione data dal senso di AUTOEFFICACIA e di PADRONANZA, dà riposte PARZIALI che non soddisfino al 100% l'interesse ma lascino alta la suspance per il giorno dopo (il meccanismo cerebrale della ricompensa si basa sull'incompletezza delle risposte). 
Non giudica gli errori in senso morale, ma LI USA a vantaggio dell'apprendimento, aiuta il bambino a sfruttarli per capire cosa non ha funzionato. Non c'è delusione, faccia brutta, disprezzo o peggio disgusto o pietismo. Ciascuno può migliorare rispetto a ieri. Tutti impareremo.
Ma è davvero così importante questo supporto? Non basta trasmettere contenuti?
Le warm-cognition, le neuroscienze, ci dimostrano inequivocabilmente di sì.

Questo per molti motivi: uno: molto basico, da mammiferi: se qualcosa ci spaventa o ci fa male, il nostro organismo ci chiede di non ripeterla, di rifuggirla. È una questione di sicurezza, di autotutela, ma ve lo spiego meglio dopo.
Due: nel nostro cervello le cose non avvengono a compartimenti stagni: se mentre siamo impegnati in un compito di apprendimento proviamo una forte emozione, nel cassettino mentale collegato a quell'apprendimento memorizziamo ANCHE l'emozione. Se mentre studio mia madre o l'insegnante è arrabbiata, ansiosa, preoccupata, assorbirò questa emozione e assocerò allo studiare questa emozione, mandando il sistema in crash (*cortocircuito emozionale, spiega Lucangeli): DEVO TRATTENERE dentro di me qualcosa (studiare delle informazioni, che magari in assenza di emozioni spiacevoli mi interesserebbero pure), mentre il mio corpo, sotto l'effetto neurobiologico delle emozioni spiacevoli, MI DICE CHE DEVO ALLONTANARMENE.
Tre: la salvaguardia delle relazioni importanti, per i bambini, è così importante che li può indurre a rinunciare anche alla loro naturale spinta a imparare. Vedere la mamma FELICE, non delusa, non preoccupata, vince su tutto. 
Quattro (non vi ho ancora convinti?): imparare è un compito che richiede energia, e l'emozione è la ricarica più potente, basta un sorriso o uno sguardo di incoraggiamento per riprendere energia.
Cinque (ma devo fare un articolo a parte): a cosa serve ingozzare i bambini di nozioni, concentrandosi sul risultato ed alimentando la competitività verso i compagni o il senso di inadeguatezza, se ogni ricerca attuale ci dimostra che le soft-skills ( leadership, lavoro di squadra, etica, capacità comunicative e di problem solving, flessibilità, capacità interpersonali), sono molto più correlate al buon successo lavorativo delle hard-skills (nozioni)? E inoltre a cosa serve ingozzare, se abbiamo detto sopra che noi ricerchiamo qualcosa quando essa è INCOMPLETA? (serie di Netfix docet)

E QUINDI?
E quindi smettiamola di dire 'bravo' a casaccio, o "che voto hai preso? E i tuoi compagni?". Chiediamo ai bambini "che dieci è? E' stato difficile o facile? Sei soddisfatto? (TU, non IO, i bambini non devono imparare per compiacere noi ma per nutrire la loro NATURALE sete di sapere) C'è qualcosa che hai imparato che mi vuoi raccontare?". 
Interiorizziamo che per INSEGNARE non bisogna GIUDICARE, l'insegnante è UN ALLEATO DEL BAMBINO, se ci sono degli errori si affrontano, si fronteggiano, se ne comprende insieme il senso e SI USANO PER MIGLIORARSI.

Insegnare non è dare tutte le risposte (anzi, come detto sopra è bene evitare risposte troppo codificate!), ma aiutare a farsi le giuste domande per far riflettere sul perché si sta facendo una cosa e su come la si sta facendo (alcuni esempi da *Minuto e Ravizza):
- come hai ottenuto questo risultato?
- qualcuno lo ha risolto in un altro modo? 
- in quanti altri modo possiamo affrontare il problema?
- perché hai cominciato da qui?
- cosa sarebbe successo partendo da un altro punto?
- trovi somiglianze fra questo lavoro e un altro?
- adesso, rileggendolo, cambieresti qualcosa?
- cosa ti è piaciuto di più?

Inoltre, ALCUNE COSE CHE POSSIAMO FARE/DIRE SEMPRE: 
-sorridere
-guardare negli occhi, avere un contatto fisico incoraggiante(se il bambino lo accetta)
-dare tempo 
-non intervenire precocemente
-non correggere precocemente
-non interrompere
-essere alleati

Ultimo ma NON ULTIMO: DARE L'ESEMPIO. 
Non siate perfetti, fate vedere che sbagliate, chiedete scusa. Fate vedere come riflettete sugli errori. Infognatevi, appassionatevi, fate sparire il mondo dietro a un libro, un disegno, una collana di perline, un veliero in bottiglia o ciò che vi pare. Bruciate la torta, sbagliate strada perché ne state provando una nuova, incazzatevi, poi ricominciate da capo. I bambini vi osservano.

S. oggi è cresciuta. Ha elaborato molte cose ed è passata tanta acqua sotto i ponti, deve farsi l'hennè perchè ha qualche capello bianco, ma ancora ricorda nitidamente il crepitio della carta, mentre sua madre scollava le pagine. 

Per sua fortuna ha continuato a scrivere e l'amore per il sapere e per la lettura non la hanno abbandonata... ma ancora oggi odia l'odore della Pritt e la matematica è rimasta uno scoglio, tanto che le basta vedere i problemi scritti sul quaderno di suo figlio per richiamare immediatamente quelle sensazioni sgradevoli, è un abbinamento istantaneo, immediato, viscerale.

Ah, per inciso. S. fa la psicologa, scrive articoli divulgativi e si batte perché i bambini possano apprendere con gioia, serenità, senza senso di vergogna, umiliazione, senza PAURA.

Ma voi, anime belle, lo avevate già capito. 

Buone riflessioni e grazie per avere letto fino a qui,

S.